Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

24 settembre 2013

Risoluzione del XVI Incontro Internazionale delle Donne in Nero Montevideo, Uruguay, 19/8/2013- 24/8/2013

Delegazioni di Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, Uruguay. Siamo un movimento internazionale di attiviste femministe che si confrontano con diverse situazioni di oppressione. Rifiutiamo i conflitti armati e le guerre che hanno luogo nel mondo ad opera degli eserciti dei nostri paesi. Rifiutiamo anche le cosiddette guerre “umanitarie” e le guerre preventive, la violenza in situazione di post-conflitto in cui si continua la guerra con strumenti diversi. Il perpetuarsi del potere dei dittatori e dei criminali attraverso artifici legali, l'immunità per gli attori armati e l'impunità per i criminali di guerra. Rifiutiamo anche le guerre sociali generate dall'economia neoliberista che stanno danneggiando il mondo intero soprattutto la gente povera. Ci opponiamo al commercio delle armi la cui produzione è una delle cause della proliferazione delle guerre. Proponiamo che le industrie belliche trasformino la loro produzione spostandola su prodotti non letali. Rifiutiamo anche la continuità della violenza contro le donne in casa, nelle strade, nei luoghi di lavoro. Tutte queste forme di violenza sono generate dal patriarcato che si nutre e si sostenta attraverso le guerre, la violenza e l'ingiustizia e che non ha mai rinunciato a soluzioni belliciste. In tutte queste situazioni si usa una violenza strutturale e sistematica contro le donne, il controllo sociale viene assicurato attraverso il controllo dei corpi delle donne. Il nostro movimento femminista e antimilitarista utilizza forme di lotta nonviolente e fa le seguenti proposte: 1- Azione globale delle Donne in nero per l'abolizione dell'immunità per i membri delle “missioni di pace” delle Nazioni Unite, i caschi blu. E' comprovato che in molte zone di guerra i caschi blu siano stati coinvolti in reati di tipo sessuale contro la popolazione civile come in Congo, Bosnia, Haiti, ecc. A partire dalla ultima settimana di ottobre iniziare le campagne di mobilitazione. 2 Abolire l'impunità per i perpetratori di crimini di guerra compiuti durante interventi militari, guerre umanitarie, dittature e guerre sociali contro i poveri, per impedire che tornino al potere come sta succedendo in molti luoghi. Per questo esigiamo che il sistema giuridico si attivi contro l'impunità. Quindi ci congratuliamo con il Tribunale del Guatemala per la condanna per genocidio del dittatore Efrain Rios Montt, stabilendo un precedente unico nel mondo Per questo lavoriamo e continueremo a lavorare con modelli di giustizia che partono da una visione femminista come i tribunali e le corti delle donne, le commissioni di verità, giustizia e riparazione, ecc. Proponiamo di collocare l'inizio di questa azione contro l'impunità il 24 di maggio 2014, giornata internazionale per la pace e il disarmo. 3 I nostri gruppi di Donne in Nero faranno vigil per ricordare la Nakba palestinese del 1948. Appoggiamo e ci impegniamo con il movimento BDS “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro lo stato di Israele e la sua economia di guerra e la sua politica di occupazione. Riaffermiamo la nostra autonomia e la libertà di decidere sulle nostre vite e i nostri corpi e territori in termini di diritti sessuali e e riproduttivi. Continueremo ad appoggiare le iniziative di pace che i diversi gruppi di Donne in Nero e affini organizzano in conformità con i propri contesti sociopolitici e rispettando l'autonomia di ciascun gruppo che fa parte della rete.   Montevideo 24 agosto 2013

Relazione dall'incontro internazionale delle donne in nero a Montevideo

Questo incontro è stato molto movimentato, incalzante e un po' confuso anche per i continui spostamenti da un luogo all'altro per le varie attività organizzate e una certa mancanza di organizzazione in particolare nella distribuzione degli incarichi da parte delle organizzatrici il tutto in una atmosfera di grande condivisione, affetto e allegria. Le plenarie e i workshop si sono susseguiti e tutte le pause sono state riempite da incontri in café, ristoranti e case (quella di Ana Valdès, perlopiù) in cui la discussione continuava per cui non c'è stato un momento di tregua se non negli ultimi due giorni dopo la chiusura dell'incontro che però abbiamo usato in parte per riscrivere il documento finale dopo le modifiche apportate in plenaria il giorno precedente e in parte con le MdN Uruguay e le WIB inglesi e statunitensi, la belga, e poi Taghrid e Jerstin, rispettivamente palestinese e israeliana che hanno voluto come noi trascorrerli conoscendo la città e partecipando a iniziative organizzate a margine dell'incontro. E' apparsa immediatamente chiara la diversità dei temi posti al centro del loro impegno da parte delle MdN dell'Uruguay cioè finora prevalentemente la violenza domestica, il diritto all'aborto, il femminicidio che del resto erano i temi su cui le donne di quel paese sentivano maggiormente bisogno di attivarsi. In questo senso le MdN hanno lavorato molto bene e creato un'attenzione da parte delle istituzioni locali e del governo. Sono state capaci anche di promuovere manifestazioni molto partecipate di donne che hanno accettato di usare il simbolico delle DIN (il nero e il silenzio) in modo “disciplinato” cioè non come accade alle volte nelle nostre uscite dove fatichiamo ad avere una uniformità su questi aspetti. Hanno posto il tema del destino degli orfani/e del femminicidio ottenendo una legge in proposito che garantisce aiuto socioeconomico a questi bambini così colpiti nei primi anni di vita. Ana Valdès, tornata a vivere in Uruguay dopo un lungo esilio in Svezia, ha portato nel gruppo i temi del militarismo, della memoria di quanto accaduto nella dittatura, della necessità di verità, giustizia e riparazione anche se con una certa difficoltà a trovare una consonanza. Le/i torturate/i incontrano per la strada i loro aguzzini e “sono loro”, le vittime, a dover abbassare lo sguardo” come dice Ana. L'uscita dalla dittatura è stata infatti patteggiata nel 1985 fra militari e tupamaros con un accordo che ha portato alla “ley de caducidad” che ha voluto dire “impunità” cioè una pietra tombale su quanto accaduto. Su nostra richiesta Ana, rimasta prigioniera della dittatura per 4 anni, ha organizzato un incontro con altre due exprigioniere, Anahit, di origine armena, rimasta in carcere per 11 anni e Elena per 4. Abbiamo pensato di fare loro una intervista in cui abbiamo chiesto della loro esperienza, come era nato il loro impegno politico, come avevano vissuto la reclusione, l'essere in balia totale dei torturatori ma anche la solidarietà, la capacità di continuare a discutere e a progettare il futuro anche se in cattività e continuo controllo da parte dei militari, anche lo stupore di fronte alle condanne loro comminate, alla estrema violenza della dittatura dentro e fuori dalle carceri, la gioventù e l'entusiasmo per un progetto di cambiamento che attraversava tutta America Latina e poi la delusione per l'esclusione dalle decisioni, il bisogno di verità e giustizia negato. In ogni caso il tema delle dittature è entrato in maniera prepotente nell'incontro e nei temi delle DIN con la presenza di Argentina, Cile, Guatemala, Uruguay. L'Uruguay è un paese laico, la legge sul divorzio è del 1907 e non c'è religione di stato, non si insegna religione nelle scuole e queste sono pubbliche e obbligatorie per tutte/i oltre che gratuite fino all'università, il secolarismo diffuso si sente chiaramente nell'atmosfera che si respira in questo paese dove però una legge sul diritto all'aborto è stata ottenuta solo da poco tempo ed è caratterizzata da regolamenti che mostrano una mancata rinuncia al controllo sul corpo delle donne (e quindi sulla natalità e ai fini del controllo sociale) a dimostrazione che il patriarcato anche nel secolarismo limita, se può, le libertà femminili ma le donne non si perdono d'animo e hanno intenzione di far cambiare la legge. La gioventù è istruita c'è molto interesse per teatro, opera, musica classica, la legge permette i matrimoni omosessuali, la legalizzazione delle droghe leggere sotto controllo dello stato, il tutto molto recente. Nel centro di Montevideo, come a Bologna esiste la Zona della diversità sessuale con un edificio affidato alle organizzazioni gay e lesbiche, transgender e in generale lgbt. Le donne partecipano attivamente alla politica, Montevideo ha una sindaca che ha proclamato Montevideo “città della pace” per tutta la durata del nostro incontro (6 gg.) e ha voluto che l'inaugurazione assumesse un carattere ufficiale, Durante questo evento abbastanza partecipato, Stasa ha preteso e ottenuto che venisse tolta la bandiera serba che ingenuamente era stata messa, insieme a quelle riferite alle altre delegazioni presenti (certo questo ha messo in luce una mancanza di consapevolezza del nostro sentire sulle questioni che riguardano nazioni/nazionalismo però hanno capito subito di aver fatto un errore). Il governo ha definito il nostro incontro di “interesse nazionale”. Montevideo è una città politicizzata, in vari luoghi della città si propagandano in vari modi le ultime leggi sui diritti civili anche con proiezioni sulle pareti dei palazzi, Insomma questo incontro è stato immerso nella realtà locale, in modo un po' inusitato e anche questo sta a testimoniare modalità e approcci diversi fra le varie realtà in cui sono presenti nel mondo le DIN, si capiva anche che in determinati ambienti c'era interesse rispetto alla nostra realtà di DIN. Da quello che abbiamo capito ci sono state diverse realtà che hanno chiesto di incontrarci, ad esempio abbiamo incontrato una delle 19 Comuna Mujer, luoghi gestiti da donne, dipendenti e volontarie, che offrono accoglienza e consulenza legale e psicologica alle donne che vivono nel dipartimento cui afferisce ogni Comuna (un “consultorio” per più quartieri). Il servizio è molto interessante e prevede anche attività di formazione e empowerment, hanno anche ricevuto la visita di Rigoberta Menchù cosa di cui sono molto orgogliose. Per quanto riguarda i casi di violenza in famiglia per cui la donna sia costretta ad allontanarsi dalla casa, il servizio/rifugio viene fornito direttamente dal governo attraverso “hogares” temporanei e segreti. Abbiamo avuto la presenza di un gruppo di attiviste cilene di cui forse vi avevo già accennato, erano otto (una è arrivata da solo in macchina attraversando la Cordigliera delle Ande e hanno trovato molto stimolante la nostra proposta, più avanzata rispetto ai soli temi pur importantissimi della violenza sulle donne (femminicidio) dell'autonomia del corpo delle donne (depenalizzazione aborto -attuato con metodo farmacologico quindi a casa-; in Cile c'è la legge più restrittiva in tal senso), e in generale dei diritti sessuali e riproduttivi. Loro sembrano molto interessate a sviluppare anche i nostri temi a partire dalla lotta contro la guerra come prodotto del patriarcato, e la violenza sistematica sulle donne nella guerra oltre che contro il militarismo che in particolare in Cile è un tema importante da da porre nell'agenda femminista. Ci hanno ringraziato per il valore che abbiamo dato loro e per aver aperto loro un nuovo orizzonte di impegno. C'era una ragazza che rappresentava le DIN Armenia che ha portato video sulle mobilitazioni che fanno nel loro paese, molto simboliche ma anche molto giovani non mancano infatti performance con musica e ballo. Vorrei descrivervi anche le giornate dell'incontro per ora vi dico come si è svolta la prima giornata cioè il 19/8/2003 Jenny Escobar che alcune di noi conoscono ha introdotto l'incontro invitando i vari gruppi a presentarsi illustrando i temi prevalenti del loro impegno e le pratiche politiche. Tutti i gruppi hanno portato il loro contributo che è stato sempre permeato anche dalla voglia di condividere, dell'importanza della rete e della forza che può dare a tutte noi, dell'importanza di incontrarci, di abbracciarci, parlarci, darci valore. In pomeriggio siamo andate all'inaugurazione ufficiale di cui ho già parlato in parte. Ha avuto luogo nel municipio dove siamo intervenute come delegazioni presenti per testimoniare lo sviluppo della nostra rete a partire dal primo gruppo in Israele poi Italia, Serbia, Spagna, Colombia. Questa è la 1a puntata, spero di non essere stata troppo lunga e noiosa. A breve il resto del racconto e il documento che ancora solleva osservazioni.

07 settembre 2013

LA GUERRA NON E' LA RISPOSTA


SEMPRE E SOLO GUERRA?

Da anni continuiamo a levare la nostra voce

contro la guerra e la cultura della guerra

contro le dittature, i regimi, le occupazioni militari, le repressioni in corso.

Ed ora si prepara un altro intervento “umanitario” 
contro la Siria

Afghanistan

Iraq

Libano

Somalia

Mali

Libia

Siria?

Iran?

il ricorso alle armi non è la risposta!

nessuna guerra è necessaria 
nessuna guerra è inevitabile 
nessuna guerra è umanitaria
nessuno di questi interventi ha portato la pace, solo altra guerra e terrorismo


Consapevoli che la violenza genera solo violenza, di cui è vittima soprattutto la popolazione civile

CHIEDIAMO

un cessate il fuoco immediato e rispettato da tutte le parti
il blocco di tutti i rifornimenti di armi
una soluzione negoziale e non armata del conflitto siriano
accoglienza dignitosa per le popolazioni in fuga da dittature e guerre.

Invitiamo tutte e tutti a mobilitarsi a partire da oggi
contro le guerre, l’industria delle armi che le alimenta,
il militarismo che crea consenso alla logica della guerra. 


  Donne in Nero             Associazione per la Pace           

Padova 7 settembre 2013

01 settembre 2013

DICIAMO NO ALLA GUERRA





Appello al Governo Italiano
SE VUOI LA PACE,  PREPARA LA PACE

Il popolo siriano è vittima  quotidiana delle peggiori atrocità in una guerra civile che - secondo le Nazioni Unite – ha già fatto 100 mila morti  e milioni di sfollati.  La situazione in Siria è drammatica, ma un intervento militare non servirà a  pacificare il paese. L’ultimo decennio ha mostrato che le guerre alimentano  ed esasperano violenza e fondamentalismi di ogni tipo.

E’ sufficiente guardare la  Libia, l’Afghanistan o l’Iraq  “pacificato”, dove attentati e vittime civili continuano ad essere al’ordine del giorno nell’indifferenza generale.
La guerra causa sempre vittime innocenti più del 90% civili inermi.  Per questi motivi l’Italia  ripudia la guerra.  E la Costituzione non dice che l’Italia  può cedere  sovranità per fare guerre ma anzi afferma  che il nostro Paese pur di assicurare  pace e giustizia tra le nazioni  è  disposta  a “cedere parte della sovranità”.  
Nessuno lavora sulla prevenzione dei conflitti e sul rispetto dei diritti umani. Sarà il popolo siriano a fare le spese del prossimo intervento militare.  Quel popolo ha bisogno della  Comunità internazionale,  ma non dall’alto di un bombardiere:  ha bisogno che sia la diplomazia in tutte le sue facce, a farsi avanti.   Ha bisogno che la  Comunità internazionale  smetta di considerare la guerra  come opzione possibile.  Un intervento armato non porterà soluzioni, ma un crescendo di lutti  e disastri.

L’Italia si metta a lavorare per costruire nel mondo  pace e diritti e si chiami fuori da questa guerra.


Primi firmatari:   Maso Notarianni, Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Cecilia Strada, Fiorella Mannoia, Guido Viale,  Marco Revelli,  Frankie Hi-nrg Mc