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14 luglio 2012

1000 pensieri contro la guerra: La difesa del paese è una cosa troppo importante per essere affidata a un militare


I conti non tornano, i princìpi neanche
GIULIO MARCON - Il Manifesto, 4 luglio 2012
Il disegno di legge delega sulla riforma delle forze armate varato lo scorso 6 aprile dal consiglio dei ministri va bloccato e ritirato. Intanto per una questione di procedura e correttezza istituzionale e parlamentare. Non è possibile che una riforma così impegnativa e delicata su un tema così sensibile veda il Parlamento costretto a limitarsi a votare alcuni principi generali di indirizzo lasciando al governo il compito di approfondire e dettagliare le misure specifiche. Una procedura del genere - di fronte alla riforma del sistema di difesa nazionale del paese - non sarebbe neppure immaginabile in paesi come gli Stati uniti, la Francia, la Gran Bretagna. Oltretutto il ministro della difesa italiano è un militare, un alto ufficiale delle Forze Armate, con queste fortemente implicato in un sistema corporativo e complice di relazioni dettate da interessi di parte: quelli della casta militare. Quale garanzia di imparzialità ci sarà nelle decisioni del governo sul futuro delle Forze Armate, se ad avere il ruolo di istruttore della pratica della riforma è un ammiraglio che di quella corporazione è stato fino a poco tempo fa massimo esponente? Non è un caso che persino la Nato per tanti anni abbia fortemente consigliato i paesi membri dell'alleanza di non designare proprio al dicastero della difesa ex generali (o ammiragli), ma di lasciare tale funzione a un civile: il modo migliore per garantire trasparenza e separazione tra le funzioni politiche e quelle operative. Purtroppo di quel consiglio della Nato, l'Italia non ha tenuto conto.
Vi è poi una questione di merito. Il disegno di legge delega contiene disposizioni sbagliate e pericolose. Fa aumentare vertiginosamente le spese per gli armamenti, concede alle Forze Armate importanti privilegi (ad esempio quello di incassare direttamente i proventi delle vendite delle caserme e di altre asset militari) impensabili per altri comparti della pubblica amministrazione, trasforma le Forze Armate in un mercante di armi (anche in questo caso i proventi vengono trattenuti dalla difesa) e in una sorta di service a pagamento per le popolazioni colpite dalle calamità naturali. I comuni che accetteranno l'aiuto delle tende e delle ruspe dell'esercito dovranno rimborsare e pagare le Forze Armate. Non solo mercenari della guerra, ma anche della solidarietà. Occorre sottolineare, peraltro, che questa riforma si colloca - come ha denunciato la campagna Sbilanciamoci! - dentro la cornice di una mission delle Forze Armate ben conosciuta: a fianco della Nato e dell'interventismo bellico della «lotta al terrorismo» e della «guerra permanente» di cui abbiamo dato prova in Iraq e in Afghanistan. 
Le riduzioni previste dal disegno di legge dell'organico delle Forze Armate sono comunque fumo negli occhi, solo 33mila addetti (sugli attuali 183mila) in 12 anni, fino al 2024: cioè circa 2800 l'anno. In sostanza pensionamenti e mobilità, con tutte le agevolazioni possibili e immaginabili. Di esodati nelle Forze Armate nemmeno l'ombra.
Ecco perché è importante che questo provvedimento venga ritirato e che si avvii una discussione vera sulla riforma delle Forze Armate e dello strumento militare nel nostro paese, anche con l'istituzione di una commissione bicamerale che abbia la possibilità di discutere pienamente tutte le implicazioni di una riforma così importante. La difesa del paese è una cosa troppo importante per essere affidata a un generale o a un ammiraglio. Non perseveriamo nell'errore con questo disegno di legge.
 

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