Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

28 maggio 2011

Notizie dall'America latina

II FESTIVAL DELLA MEMORIA - IO SONO VOCE DELLA MEMORIA E CORPO DELLA LIBERTA’
http://www.radiofeminista.net/index.php/es/noticias-todas/acciones-movilizaciones-logros-desafios/328-chimaltenango-guatemala-.html



Il II Festival della Memoria, “resistenza delle donne di fronte alla violenza sessuale durante il conflitto armato”, ha riunito più di 150 donne guatemalteche, accompagnate da attiviste internazionali di Serbia, Perú, Ecuador e Colombia che lottano per la giustizia per la violenza sessuale subita alle donne nei conflitti e nelle guerre nei loro paesi. Tra il 24 e il 27 febbraio si sono trovate insieme nella Escuela Pedro Molina, convertita dall’esercito 30 anni fa in Distaccamento Militare e tornata al popolo 8 anni fa, grazie agli accordi di pace.
“30 anni fa si stabilì lí la Zona Militare 302. Per oltre 20 anni l’esercito prese possesso di queste installazioni, causando molti terribili danni alle vite di bambine/i, donne, uomini di Chimaltenango. Oggi recuperiamo gli spazi che appartengono alle donne e quindi a tutto il popolo di Chimaltenango. Quel che ci è stato strappato, ci è stato restituito: hanno restituito le installazioni, ma la dignità non l’abbiamo mai perduta. Per questo ora proclamiamo, da questa tribuna, da questo II Festival, che noi donne abbiamo bisogno di chiudere una volta per tutte le nostre ferite. Che le nostre storie siano sanate, che centinaia, decine, migliaia di donne come noi si decidano a parlare, a non tacere mai più e mai si ripeta la violenza sessuale contro di noi. Non nelle guerre, non nei conflitti o nelle società apparentemente pacifiche”. Così ha detto Yolanda Aguilar all’apertura dell’evento. “Le donne dei diversi popoli indigeni del Guatemala si sono date appuntamento, tra i ritratti di volti di donne che hanno rotto il silenzio sulle violenze che hanno subito in guerra. Suonano le marimbas con la loro musica ancestrale che rende omaggio alle nonne che prima di loro seminarono il seme della resistenza delle donne contro la violenza. Il Festival tratta il tema della violenza sessuale sofferta da migliaia di donne durante il conflitto armato e delle loro lotte per “contribuire a costruire una società che non accetti, legittimi o giustifichi mai la violenza sessuale contro le donne”.
Rosalina Tuyuc della Comisión Nacional de Viudas de Guatemala (CONAVIGUA) ha detto, in omaggio a quante le hanno precedute anonimamente nella lotta contra la violenza alle donne: “Sono loro la ragione d’essere per cui molte di noi hanno iniziato questo cammino affinché la dignità delle donne non resti appannata, ma sia qualcosa che spinge ciascuna di noi a proseguire in questo cammino di lotta per la verità, la giustizia, non solo nei processi penali, ma affinché lo stato riconosca la sua responsabilità e risarcisca i danni. Il nostro plauso alle donne che si sono decise a rompere il silenzio, per la memoria di tutte le donne torturate, scomparse, massacrate, violentate, per la memoria della lotta di tutte noi.
L’agenda dell’evento includeva attività in strada, nei luoghi istituzionali e nelle scuole di Chimaltenango, affinché attraverso l’arte, la scrittura, il cinema e la musica si raccontasse alla comunità  l’importanza di rompere il silenzio, recuperare la memoria e non dimenticare affinché non ci sia mai più violenza sessuale contro le donne in nessun luogo. Il festival è stato un appello all’impegno per la giustizia sociale, ha rivendicato l’emancipazione delle donne con lo slogan “Io sono voce della memoria e corpo della libertà”, un passo avanti nel processo di costruzione della giustizia per le donne,  per risarcirle e riconoscere la loro dignità. Tra i temi trattati c’erano: recuperare la memoria dalle voci della memoria, recuperare il nostro potere collettivo per sradicare la violenza sessuale, Donne e Guerra (Lepa Mladjenovic, Donne in Nero di Serbia; Jessenia Casani, DEMUS Perú; Génica Mazzoldi, Humanas Colombia; Karina Sarmiento di Asylum Access Ecuador).
Il  I Festival per la Memoria si era svolto con successo nel 2008 in Huehuetenango, con uno slogan che affermava la resistenza delle donne: “Sono sopravvissuta, sono viva, sono quí”.

VOCI DELLA MEMORIA
Liduvina Méndez di Actoras de Cambios ha parlato della composizione del gruppo che ha dato impulso al lavoro dell’organizzazione. “Siamo un collettivo femminista di 8 donne che dal 2004 lavorano con donne vittime di violenza.


Ci sono 4 donne Mam, una francese, una spagnola, 4 meticce, una Qékchi e le promotrici, perché ci sono equipe locali che tengono i contatti diretti con le donne monolingue. Esse hanno una formazione e sono sempre più indipendenti e autonome nel lavoro... Per Liduvina l’area di formazione/guarigione è la parte più importante di Actoras.”Lavoriamo direttamente con 78 donne, però se contiamo le altre con cui lavorano le promotrici, il numero si moltiplica benché non sia il nostro lavoro diretto. Le donne che vivevano nelle Comunità in Resistenza (CPR) scese dalle montagne dopo gli Accordi di Pace, ora vogliono lavorare su questo. Il numero cresce secondo le necessità delle donne nelle comunità. Rompere il silenzio non è facile, però quando si sentono appoggiate e sostenute, lo fanno più facimente. Ora la loro espressione non è solo di dolore, ma parlano della loro vita, presentano teatro, danza e in altri modi, non più con un nodo in gola, ma esprimendosi più liberamente. Ridare significato alla storia non solo attraverso le parole, ma con tutto il corpo, dove fa male... le parti addormentate del corpo sono nostri poteri addormentati. Convertirci in Actorad de cambios è lavorare, non solo a partire dalla sofferenza, ma con tutte le espressioni.”
“Cris” è una spagnola che attualmente vive in Messico. “Siamo venute da un collettivo di autodifesa in Messico. Io sono sopravvissuta del caso di ATENCO in Messico; sono impressionata a vedere come le donne prendono il microfono”. Cris porta avanti una denuncia dal 2007 nello Stato Spagnolo, in Messico e presso la Corte Interamericana e non crede in questa giustizia, ma sostiene che è uno strumento da utilizzare per usarlo come un precedente affinché non accada più. “Il caso Atenco si verificò in maggio 2006: ci fu repressione verso azioni contro un mega progetto su un aeroporto, noi sostenemmo l’appello della popolazione. Eravamo 300 persone, ma arrivarono 3.500 militari. Noi donne fummo violentate. Però non tacemmo, mi deportarono in Spagna per 5 anni ma sono tornata prima. Punirono due poliziotti per atti di libidine, ma furono assolti, tuttavia delle donne rimasero in prigione 2 anni, 2 furono assassinate, 40 violentate, 22 fecero denuncia e 11 alla Corte Interamericana. Vogliamo che si riconosca la violenza sessuale come tortura pianificata dall’alto. Crediamo nell’autodifesa femminista perché crediamo di doveci formare per resistere e alllontanare gli aggressori, condividere conoscenze e contribuire tutte in quanto abbiamo molte tecniche. Vediamo che rompere il silenzio è importante. A me costò dire la parola “stupro”, ma vedo qui le donne nominarlo così chiaramente che mi impressiona.”
Karina Sarmiento dell’organizzazione Assylum Access in Ecuador si sente emozionata a stare al Festival e colpita dal tema “ricordare per sanare ed essere responsabili di quanto accadde”. Il problema è che si deve dimenticare, ma non si può dimenticare. La violenza sessuale si vive in contesti di guerra e di pace, non si può dimenticare.
Il Teatro dell’Oppresso, la terapia del riso, la musica e l’arte in generale sono strategie per la guarigione. Così crede Sandy Hernández dell’Argentina, che lavorò in Argentina e Perú in ospedali e comunità. Attualmente lavora con donne di Chimaltenango in 8 villaggi e CPR in San Juan Zacatepequez. “E’ divertimento, ma è denuncia e da ciò nascono questi processi attraverso giochi per dare soluzione simbolica a eeperienze di vita.”

Sandy Hernández e il gruppo di donne artiste indigene

Ha lavorato con le partecipanti per creare scene come quelle del teatro per l’apertura del Festival, “Rompendo il silenzio”, una scena che hanno deciso di allestire per denunciare i crimini. “L’arte è una forma di esprimere le nostre realtà e cercare soluzioni simboliche, cambiare la storia”. Con l’aiuto di una delle traduttrici al Mam, Josefa Lorenzo, Clara María Gerónimo García ha detto che, dopo che la violentarono nel 1980, restò molto malata e dovette chiedere un prestito per curarsi e ancora non sta bene. “Quando arrivarono i militari, venivano ad ammazzare mio marito; afferrai un bastone per picchiarli, ma lo ammazzarono ugualmente e poi mi violentarono...Ora quando sto con altre mi sento felice e meglio, ho superato e so che non fu colpa mía, ma degli stupratori. Ora ballo durante le attività, prima no.”
Le giovani Maya, Karina Matzir di Radio La Voz di San Pedro en Chimaltenango e Rosa Tecún Macario di Radio comunitaria Stereo San Francisco, hanno seguito il Festiva trasmettendolo con le loro radio. “Le radio comunitarie indigene del Consejo Nacional de Radios Indígenas del Guatemala attualmente cercano di far approvare l’iniziativa di legge 4087 che vuol rendere legali le radio comunitarie”. Karina produce notiziari, benché sia maestra e Rosa Micaela è contadina, ma fa anche radio. Entrambe fanno controlli tecnici oltre a dirigire i loro programi. “Attraverso le radio comunichiamo tra noi e ci informiamo”.

Nei loro programmi trattano il tema perchè molte donne dei loro municipi furono violentate, assassinate e scomparvero. “Esse devono sentirsi importanti perché la loro autostima è stata colpita, ma quando le loro voci sono trasmesse alla radio la loro autostima cresce” dice Karina. Rosa Micaela dice che queste donne che hanno rotto il silenzio devono sentire che qualcuno sta lavorando per la loro dignità. “Ci raccontarono cosa accadde durante la guerra, però tempo fa ed ora torniamo ad ascoltarlo direttamente”.  Sostengono che il messaggio dà coraggio, che le donne che rompono il silenzio devono sapere che non sono sole.

YOLANDA AGUILAR : “SIAMO TUTTE PROTAGONISTE DEL CAMBIAMENTO"
”Ciascuna di quelle che sono qui, siamo in carne ed ossa e con viva voce, la voce della memoria e del corpo della libertà di migliaia di donne di questo paese, di questo continente e molte altre zone. Tutte e ciascuna di noi ricordiamo e facciamo memoria di quanto vissuto; tutte e ciascuna incarniamo storie di libertà per quel che abbiamo raggiunto nelle nostre vite. Oggi, durante il II Festival Regional de la Memoria, quelle che riteniamo Actoras de cambios, cioè, tutte quelle che siamo qui, parteciperemo durante questi 3 giorni al recupero della memoria, a sanare e recuperare il nostro potere collettivo per sradicare la violenza sessuale dalle nostre vite, dalle nostre comunità, dalle nostre società. Da tempo non basta che diciamo quanto è successo. Abbiamo fatto indagini e continuiamo a farle, cercando strade alternative per ottenere giustizia per tutto ciò che è accaduto.
Recentemente è iniziato il nuovo anno Maya. Nel nostro calendario continua il 2011, ma molte di quelle che stanno qui sanno che è cominciato un anno di cambiamenti fondamentali nel pianeta, un anno di solidarietà, rispetto e amore per noi stesse, per noi e per gli esseri universali che ci circondano.. Oggi è Ish, rappresenta la vitalità, un giorno propizio per ringraziare per tutto ciò che le donne hanno realizzato, un giorno per meditare, per cambiare ogni aspetto negativo delle nostre vite, per cambiare il modo in cui abbiamo vissuto, per riformulare nuove forme di intendere la vita, per risolvere i problemi e sviluppare la forza interiore che abbiamo tutte.
Quando abbiamo cominciato qualche anno fa con Amandine Actoras de Cambio, non pensavamo che questo giorno sarebbe arrivato, ed è arrivato, come molti altri giorni che devono arrivare per le donne. Perciò siamo qui.
L’attività si realizzerà nella scuola Pedro Molina. 30 anni fa si installò lì  la Zona Militare 302. Per oltre 20 anni, l’esercito si impossessó di queste installazioni, causando molti terribili donne alle vite di bambine/i, donne, uomini di Chimaltenango. Non dimentichiamo quel che hanno fatto. E’ da 8 anni che la scuola è tornata ad essere scuola... Oggi abbiamo recuperato gli spazi che appartengono alle donne e di consiguenza, a tutto il popolo di Chimaltenango. Quel che ci è stato strappato ci è stato restituito. Ci hanno restituito le installazioni, ma non abbiamo perduto mai la dignità. Perciò è adesso che proclamiamo, da questa tribuna, da questo II Festival, che noi donne abbiamo bisogno di sanare una volta per tutte le nostre ferite, che si curino le nostre storie, che centinaia, decine, migliaia di donne come noi si incoraggino a parlare, a non tacere mai più e che non si ripeta mai la violenza sessuale contro di noi, Né nelle guerre, né nei conflitti o società apparentemente pacifiche.
Il patriarcato è il sistema più perverso che esista da quando eeiste l’umanità. E questa è la nostra grande sfida, eliminare la violenza sesuale una volta e per sempre. Uniamoci in una sola voce e un solo corpo affinché sia così. Benvenute e benvenuti a questo II Festival per la Memoria per sradicare la violenza sessuale e per costituirci in Actoras de cambios per sempre.

"NON SONO COLPEVOLE". ROSALINA TUYUC
Coordinatrice Nazionale delle Vedove del Guatemala
“Intrecciare le speranze affinchè tutte possiamo andare avanti…. Quando parliamo delle donne, dobbiamo ricordare la Madre Terra; la sua energía è la nostra miglior alleata durante il conflitto armato. Salutiamo la memoria delle grandi nonne e delle belle ragazze, le donne incinte offese dalla crudeltà dei militari… Queste grandi donne anonime, levatrici, guaritrici e leader che con il loro lavoro hanno nutrito le loro famiglie e le comunità. Possiamo conoscere i loro nomi solo dalla relazione della Comisión de esclarecimiento–histórico, REMI, e da quelle della chiesa cattolica, o dai murales alla memoria. Sono loro la ragion d’essere per cui molte di noi abbiamo iniziato quest cammino affinché la dignità delle donne non resti appannata,… è qualcosa che ci spinge tutte a poter essere in questo cammino della lotta per la verità, la giustizia, non solo nel processo penale, ma che lo stato riconosca le sue responsabilità e risarcisca il danno. Plauso alle donne che si sono decise a rompere il silenzio, per la memoria di tutte le donne torturate, scomparse, massacrate, violentate,… per la memoria di la lotta di tutte noi, grazie. Voglio dire che quando c’è una, ci sono 20, 100 o 1000 donne nel cammino della libertà, tutto è possibile. Grazie a questo lavoro di rompere il silenzio dalla famiglia, dI farsi carico di un futuro per le donne, molte hanno deciso di parlare e dire: “Io non sono colpevole”, che la violenza sessuale non è responsabilità né vergogna delle donne. Forse in qualche momento gli aggressori hanno pensato che le donne avrebbero taciuto e che così non ci sarebbe stata procreazione di maya, zutujiles, mames e tutte le donne dei diversi idiomi. Tutte sappiamo che la violenza sessuale ha voluto iniziare questo processo per poter lasciare il segno su loro e dire così che non si sarebbero mai alzate. Pero non sono stati invano la vita e il sangue di queste grandi donne, i cui nomi conosciamo dai murales e da pochi libri. Io penso che dal dolore può nascere l’allegria. Si, abbiamo pianto, sofferto: c’è stato oscurità, paura, terrore e a volte un dire: ¨Non voglio vivere, mangiare, sognare¨. Molte abbiamo pensato che non si sarebbe riuscite a parlare. Invece no. Grazie a tutti gli uomini e le donne di mais che ci hanno preceduto perché grazie a questa forza noi donne ci siamo alzate. Quante, attraverso questi pianti, possiamo dire che il nostro cammino è molto lungo e che oguna ha dato il suo grano di mais e altre seguiranno. Perché molti di questi cambiamenti, affinché non accadano mai queste cose, non dipendono solo da noi. Se dipendesse da noi, già avremmo realizzato il cambiamento. Dipende da queste trasformazioni politiche, economiche e culturali. Dipende dal potere militare perché tutti i governi sostengono la militarizzazione. Ma noi donne siamo messaggere di pace, lotta, giustizia e continuiamo a sperare che per lo meno la solidarietà tra donne non deve mancare. Salutiamo le grandi donne e antenate che senza sapere spagnolo, fanno la storia e continueremo a fare storia noi; storia per la vita, la libertà e la buona armonizzazione dei nostri popoli”.

LA MEMORIA E’ NEI NOSTRI CORPI, STA LI’ IL POTERE DELLE DONNE
Il 26 febbraio è stato dedicato a “Recuperare la Memoria per Sanare e Trasformare” con un primo panel intitolato “Recuperare la memoria dalle voci delle donne” nella Escuela Pedro Molina in Chimaltenango. Un’opera teatrale, rituali maya di guarigione, marimbas, canti e allegria hanno preceduto il panel a cui parteciparono Amandine Fulchiron e Angélica López di Actoras de Cambio e Lepa Mladjenovic di Serbia.
Angélica ha detto che la trama della memoria non nominata apre la voce di migliaia di donne qui, apre il cuore, la testa e lo stomaco. Hanno turbato il nostro corpo e la sessualità. “Non abbiamo mai parlato del corpo di ciascuna: come si ama un fratello, così pure si deve amare il proprio corpo”. Ha chiarito che quando le donne dicono di essere un’ombra, stanno dicendo che c’è stata una morte sociale perché siamo uscite dal mandato  patriarcale. Perciò recuperare il nostro corpo e la memoria è recuperare la vita.
Amandine Fulchiron ha detto che quando non menzioniamo quel che ci accade, le nostre esperienze spariscono dalla memoria collettiva. “Molti dossier sui Diritti Umani ignorano la violenza”. Da 25 anni le donne maya soprevvissute dicevano che sembravano di “susto”. Qual è il codice del susto? L’integralità della vita attaccata dalla violenza sessuale: “Dopo la violenza, io non ero io, ero l’ombra di me stessa”…. Non è fare una lista del dolore, ma delle conseguenze che ha. Segna un prima e un poi e limita la possibilità di avere sostegno e reti solidali perché ci accusano di essere “puttane”…. Per sanare e ricostruire un luogo nel cosmo, è importante  nominare quel che ci è accaduto. “Non parlare della violenza sessuale non fà sì che se ne vada; bisogna parlare per poter sanare e chiudere il cerchio affinché non si ripeta“. E’ la nostra storia, però pesa un segreto enorme che non ci permette di guarire e vivere. Come educare le bambine se non conoscono la storia? Per cambiare la storia bisogna conoscerla e sapere perché le cose sono andate come sono andate. La rendiamo politica, non è destino, la togliamo dalla colpa e le diamo un altro senso”. Recuperare e sanare questa memoria è un processo profondo e vitale che crea la forza collettiva trasformatrice per costruire la libertà.
Lepa Mladjenovic ha detto che il Festival è unico al mondo e Actoras de Cambios anche,… non aveva mai visto qualcosa del genere. “Vengo dalla ex Jugoslavia, un paese di 22 milioni di abitanti e 20 lingue, formato da 7 repubbliche, entró in guerra nel 1991 e finì nel 1999. Il paese si divise in 7 stati, 130.000 persone morirono, milioni di profughi e 20.000 stupri nella guerra. Nel 1992 dalla Bosnia arrivarono informazioni delle prime violenze contro le donne. Questo ci spinse a lavorare in un’ottica femminista. Una conseguenza è che ora la legislazione internazionale riconosce la violenza sessuale come un crimine.

Nel 1993 si formó il Tribunale Internazionale per i Crimini in Jugoslavia, con anche l’incarico di giudicare e punire i crimini di violenza sessuale. Per la prima volta si giudicò per la Jugoslavia e il Ruanda. Per la prima volta la violenza in guerra fu giudicata e gli uomini che la commisern furono puniti. Certo, ci furono 20.000 donne violentate e solo 20 uomini condannati. E’ importante che esista questo Tribunale, perché si certifica e rende visibile che ci furono questi crimini, però, d’altra parte, questi uomini sono tornati dopo la pena e stanno negli stessi luoghi dove vivono le donne che si sentono vulnerabili e insicure. Le donne di Bosnia non sono soddisfatte di questo Tribunale perché è insufficiente. Esse hanno dovuto andarsene dai luoghi dove furono violentate. Perciò bisogna continuare a discutere: cos’è la giustizia?”. Riferendosi al suo interesse per le donne del Guatemala, ha detto: “Abbiamo storie simili nei nostri corpo, ieri l’abbiamo visto nel teatro; è importante che si sappia che le donne di Bosnia  furono violentate da soldati di Serbia da dove vengo io, che io sono una donna che viene dalla Serbia. Faccio parte delle Donne in Nero e lotto contro il mio governo per le sue responsabilità e diciamo alle donne che ci dispiace molto che si siano fatti questi crimini in nostro nome”. Ha aggiunto che le donne di Bosnia devono sapere che c’è gente del paese aggressore che sono con loro. Ha ostenuto anche la creazione di tribunali del popolo per accusare chi non è mai stato perseguito penalmente.

LA DANZA DELLA VITA CONTINUA
La Alameda, Chimaltenango, 26 febbraio 2011. Riassunto del primo giorno del II festival regionale IO SONO VOCE DELLA MEMORIA E CORPO DELLA LIBERTA’.
Bisogna raccontare quel che è accaduto. Questa non è la storia di un giorno, in un giorno si può solo sintetizzare la terribile esperienza vissuta da donne di diverse culture e in diverse regioni del paese, che nel mezzo della guerra, furono prese con la forza, quasi sempre dai soldati, per abusare dei loro corpi. Però sono sopravvissute. Sono qui. Sono vive. Partecipano a un festival per la memoria, nel quale parlano, ascoltano, ballano. Ed ora quasi non piangono. Il giorno 1 del festival inizia con una cerimonia spirituale maya, guidata dalla Ajqij maya kiche Angélica Lopez insieme ad altre compagne presenti al festival... Questa cerimonia si è rivolta al corpo, fatta con il corpo, sentita nel corpo, vissuta dal corpo. In molte delle nostre culture il nostro corpo continua ad esserci estraneo. Persistono i tabú, le paure e queste emozioni perverse che ci ingannano, ci bloccano. Con questa cerimonia allora, si convocano le mani, le gambe, i piedi, la testa, il cuore, la vagina, la gola, lo stomaco, la lingua, la voce… Con candele, incensi, suoni, fronde e petali di fiori, abbiamo cominciato a suonare, cantare, ballare, muovere il corpo e tirar fuori i dolori corporali, mentali e spirituali. Anche il fuoco ha ballato, cantato e parlato insieme a noi. Anche le donne sopravvissute, presenti al festival, hanno iniziato a far suonare il corpo, attraverso la parola, cosa tanto importante per tante di noi, “rompere il silenzio”. Questi processi personali erano finalizzati a sanare le ferite. Certo, hanno trasceso la parola. Esse, organizzate in gruppi regionali, hanno anche vissuto un processo di elaborazione che trascende il puro condividere la storia con la parola, per rielaborare questa storia e convertirla in un’espressione artística. Il gruppo qeqchi ha deciso che le anziane ballassero una musica di arpa e violino, con cui si recupera la presenza delle antenate e si rende loro omaggio. Il gruppo de Huehuetenango ha elaborato una danza-teatro, nella quale ricrea la storia prima, durante e dopo de la guerra. E il gruppo qakchiqel, utilizzando le risorse del teatro-immagine e della terapia del riso, ha creato in una piece teatrale, un giorno nella vita di Margarita, una delle sopravvissute, precisamente il giorno in cui lei e la su famiglia furono vittime della violenza della guerra, lei in particolare fu presa, come molte altre donne, come bottino di guerra. Questa capacità di trasformare le loro storie personali e collettive in creazioni artistiche, ci mostra come loro siano riuscite a trascendere il dolore. Ed è questo che le Actoras de Cambios, organizzatrici di questo festival, ricercano con il loro lavoro di accompagnamento di questi gruppi.
Il primo giorno del festival è terminato con un ballo. E, come ha detto Eluvia, una partecipante a questo festival, con il loro lavoro, la loro presenza e le loro creazioni queste donne ci stanno dicendo che “il ballo della vita continua”.
“L’unico modo per cui la nostra proposta non sia folclorizzata è costruirla a partire da un senso politico... dalla cosmovisione maya. Solo così è possibile la rivendicazione della cultura originale attraverso l’arte”

CHIEDERE TRE VOLTE SVEGLIA LA MEMORIA
La seconda parte del 26 febbraio ha riguardato strategie e azioni per “Sanare e recuperare il nostro potere collettivo per sradicare la violenza sessuale”. Hanno partecipato al panel attiviste e attrici da Colombia,  India e Guatemala.
Luz Estela Espina Murillo di Vamos Mujer in Colombia, per “passare dall’indegnità all’indignazione”, presentó una canzone di Petrona Martínez della Costa Atlantica,  attivista colombiana che creó “La vida vale la pena”. Sulla tonalità caratteristica della negritudine caribegna, con tamburi afro e ritmo colombiano, la plenaria del Festival ha mosso il corpo all’unisono. Vamos mujeres è un’organizzazione che lavora con donne colpite dal conflitto armato e nelle famiglie del loro paese. Ha citato un lavoro recente della Casa de Mujer che contiene dati secondo cui tra il 2001 e il 2009 in 407 municipi, migliaia di donne furono vittime di violenza sessuale nel conflitto armato, cioé una media di 54.410 donne all’anno, 149 al giorno e 6 ogni ora. “Facciamo parte della Ruta Pacífica de Mujeres dal 1996 che ha origine dalle violenze delle donne indigene in una zona di Urrabá. E’ una strategia di andare a ascoltare direttamente le donne colpite nelle loro comunità”. Ogni 25 novembre la Ruta va in massa nelle comunità in cui le donne sono intrappolate in mezzo al conflitto armato, per accompagnarle, rendere visibili le loro lotte e rivindicare le loro richieste. Esse non parlano di sanare, ma di ricostruire l’identità come decisione autonoma individuale, che si fa però collettivamente. Ruta Pacífica ritiene che la vita libera da violenza non riguarda solo le donne, ma uomini e donne. “Che tipo di società è quella che è indifferente al danno e alla sofferenza subita da tutte e tutti? Cosa ci rivela della società e della cultura, ammettere e accettare la distruzione del corpo delle donne?”
Miriam Cardona della Red de Mujeres por la Justicia Económica y Social, lavora su  potere, razzismo e violenza sessuale. “Una donna, coinvolta in uno di questi processi, ci diceva che non sentiva nulla, ma il suo corpo si induriva. Chiedere tre volte sveglia la memoria perché l’oblio è pieno di memoria. Il trauma, come ogni dolore rimasto nella dimenticanza (che è incoscienza), disintegra il vincolo del benessere. Il corpo parla di quel che la mente, abituata a controllare, decreta di non sentire e fa che la memoria resti registrata nel corpo, ma la mente dica di non sentire nulla. L’impatto del trauma fa si che mettiamo a tacere i segnali del corpo, ma il corpo continua a parlare. Decretiamo l’oblio, che è il silenzio del corpo. Stiamo dimenticando la nostra vita e storia. Quando raccontiamo le storie che ci sono accadute, senza badare a quel che dice il corpo, rimaniamo nel silenzio, nell’oblio. L’obiettivo è non sentire e separarci dall’agire. Perciò a volte facciamo azioni politiche molto combattive per rompere il silencio, ma non quello inciso nei nostri corpi... La frattura tra il sentire e l’agire è vivere nella non conscienza sulla propria storia. Poiché il trauma si esprime fisicamente nel corpo, se non lo esprimo, continua a riprodursi nel corpo. Ogni volta che ci sia un grido, un suono, un fatto o una relazione che risvegli la memoria corporea del trauma, rivivremo emozioni intense come accadessero ora. Ci obblighiamo a vincolarci allo stesso padrone da cui vogliamo liberarci. E lo ripetiamo in diverse forme: mi relaziono con rabbia, mantengo relazioni violente, racconto i miei traumi solo quando bevo… L’impatto dell’oblio è grande quanto la storia dimenticata, il suo impatto è sulla sopravvivenza e mi trasforma in sopravvissuta… Siamo tutte coinvolte nella costruzione della memoria storica e tutte abbiamo una storia da sanare… Sentire è rompere il silenzio del mio corpo e tendere dei fili tra il corpo e l’azione. La garanzia che la violenza non si ripeta sta nel sanarla”.
Nell’ultimo dibattito al II Festival della Memoria, Lepa dalla Serbia ha detto che bisogna definire cos’è la “giustizia femminista”. “La cosa principale è assicurare che le comunità onorino le donne e trasformino la loro colpa e vergogna, trasferendole sugli aggressori”. Per l’attivista serba, i tribunali della coscienza svolgono un ruolo perché chiamano in causa i responsabili che non sono mai stati preseguiti per altre vie.
Una compagna guatemalteca che non si è presentata ha detto di essere stata triste e sentirsi malata fino a quando non Angelica e Amandone l’hanno sostenuta ed ora si sente sicura. “Qualsiasi cosa mi accada nella comunità, so che loro mi sosterranno”. Génica Mazoli della Corporación Humanas in Colombia ha sottolineato la giusta relazione tra giustizia e verità. Non sempre la giustizia arriva alla verità. Quella dei colpevoli non è la verità delle vittime. Non c’è la voce delle donne.
Angélica López chiede: Come fare per lavorare nella destrutturazione del potere sul corpo?
Lepa: Il tema della guarigione è nuovo nel movimento in Europa: l’ottica femminista della giustizia comincia con la guarigione. Bisogna raccogliere la vostra esperienza. Giustizia femminista è partire dalle donne mentre quella della tradizione parte dagli aggressori.

VOCI DEL FESTIVAL: NELLA DIVERSITA’ DELLE AZIONI STA LA FORZA
Durante il conflitto armato in Guatemala tra il 1960 e il 1996, periodo della durata del conflitto armato interno in Guatemala, si stima che più di 5000 donne furono violentate, l’80% delle quali erano indigene, originarie principalmente da Quiché, Huehuetenango e Las Verapaces, i dipartimenti dove si registró il maggior numero di massacri e operazioni di terra bruciata. La relazione della Comisión para el Esclarecimiento Histórico, “Memoria del Silencio”, sottolinea che, nonostante alcuni casi verificatisi nella guerriglia, l’89% fu opera dell’Esercito, con il sostegno dello Stato, il principale ente responsabile di questi crimini.
Le voci delle donne che subirono queste violazioni dei diritti umani non fu ascoltata quando avvennero. Solo recentemente, dopo 25 anni, esse sono entrate con forza nell’agenda pubblica con le loro voci, rompendo il silenzio e passando da vittime a soprevvissute a actoras de cambio.
Liduvina Méndez di Actoras de Cambios: “Esse (quelle che hanno rotto il silenzio sulle violenze sessuali durante la guerra) si sono formate e sono sempre più indipendenti e autonome nel lavoro perché si sono appropriate delle risorse del processo… Le parti dormienti del corpo, sono nostri poteri dormienti; convertirci in actoras de cambios è lavorare a partire non solo dalla sofferenza, ma da tutte le espressioni di vita”. Lidubina Méndez aggiunge: “La nostra proposta metodologica lega il femminismo alla cosmovisione Maya. Discutiamo come sanare e costruire il nostro potere collettivo per una società che non accetti né giustifichi la violenza sessuale e tutto ciò che essa implica nella vita delle donne. Siamo convinte che tutte le persone nasciamo con la possibilità di vivere una vita piena, ma quando ci tovca vivere in condizioni avverse come ci è toccato nel patriarcato, abbiamo anche tutte le condizioni per sanare e recuperare l’equilibrio e l’armonia. Ci hanno fatto credere che siamo indifese e che non possiamo. Col contatto con il nostro interno possiamo scoprire tutte queste possibilità con cui nasciamo. La paura e il terrore inibiscono e per questo bisogna rompere con immaginari, modi di vivere, credenze che non ci permettono di svegliarci per vivere pienamente. La segregazione subita dallae donne e dalle sopravvissute alla violenza sessuale limita le possibilità. Rompere il silenzio in solitudine è più diffícile che insieme. E’ stato importante che ciascuna credesse in se stessa e nelle sue capacità per andare avanti ed essere responsabile di se stessa, del suo processo di guarigione. Tutte abbiamo la forza, dobbiamo solo risvegliarla. E’ complesso, ma possiamo risvegliare questa capacità. Il costo della libertà è meraviglioso. Il costo di rompere le catene è prezioso. Lo star male non è una condizione delle donne, la libertà è la nostra condizione. Riconoscere il malessere e abbandonarlo. Rompere il silenzio non è solo parlare di quanto accaduto, è capirlo e ri-significarlo. Curare il nostro corpo. Respirare è prendere coscienza piena dell’impulso vitale che c’è in tutto il nostro corpo. Ballare, danzare, muoverci con scioltezza. Il femminismo, per recuperare le ali per volare”.

Per ulteriori informazioni vedi www.radiofeminista.net

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