Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

03 maggio 2011

Documento italiano per il convegno internazionale delle donne in nero -Bogotà Agosto 2011

DALLA RETE DELLE DIN ITALIANE: MILITARIZZAZIONE E PRATICHE DELLE DIN

La situazione italiana

Malgrado l’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”), l’Italia è un paese in guerra che combatte fuori dai propri confini, come in Kossovo, in Afghanistan e ora in Libia. L’Italia fa parte della NATO, e va ricordata la gravità della trasformazione degli scopi dell’alleanza fatta col trattato del 1999, che ha spostato la strategia da difensiva a offensiva, l’ha allargata a tutto il mondo ed estesa agli interessi (economici, energetici ecc..), con diritto di difenderli se minacciati. Questa appartenenza vincola e impone, insieme all’adeguamento di eserciti e armamenti, l’espropriazione dei territori destinati a basi e comandi militari, l’uso militare di porti, aeroporti e ferrovie, e anche una politica estera di uso della forza per i propri interessi, esercitando così una forma di dominio del mondo e una continua minaccia per la pace.
L’Italia è un paese in crisi economica e politica: insieme a una distribuzione sempre più disuguale della ricchezza, assistiamo all’attacco alle istituzioni democratiche e ad una fortissima spinta all’accentramento del potere nelle mani del governo, insofferente di ogni controllo democratico. “Il potere è in mano a persone di sesso e/o di mente maschile sovente impreparate e attente soprattutto a interessi propri o di cricca troppo spesso sporchi e dannosi. Elementi evidenti di questa situazione sono il totale disinteresse dei governi verso la società e l’ambiente – e il conseguente degrado dell’una e dell’altro; la riduzione dei diritti di molte/i per favorire i privilegi di pochi; la criminalizzazione dei diversi (dai migranti, ai rom, a chiunque dissenta) e l’impunità dei potenti, la precarizzazione di chi lavora e la marginalizzazione sempre più spinta delle fasce deboli.

La militarizzazione

Vi sono fatti molto espliciti, come l’aumento delle spese militari, che è contemporaneo ai tagli degli investimenti per salute, istruzione, assistenza, previdenza, ambiente, cultura; il nostro paese è oggi all’ottavo posto al mondo per le spese militari ed è impegnato in 27 missioni all’estero.1 In Italia vi sono 110 basi militari USA/NATO, anche con testate nucleari, e se ne costruiscono di nuove, come a Vicenza. La presenza militare contamina l’ambiente nei luoghi di guerra, ma anche nelle basi militari, nei poligoni di tiro, nel cielo e nel mare. L’Italia è coinvolta nella produzione, vendita e traffico di armi (al 10° posto per l’esportazione) anche verso paesi in conflitto del sud del mondo, facilitato da accordi bilaterali di cooperazione in ambito militare e della sicurezza, come quelli con Israele e con la Libia.
Vi è anche una militarizzazione interna: si militarizzano le coste e le frontiere; la paura e l’ostilità per la pressione migratoria rendono disumana e feroce la repressione dei migranti e il Mediterraneo diventa area di conflitti e sempre di più una tomba per coloro che fuggono da povertà e guerre – di cui spesso siamo responsabili.
Questo modello militare repressivo è adottato anche per la “sicurezza” interna: ad esempio l’esercito viene usato in funzione di ordine pubblico nei mercati cittadini; le sterminate discariche della zona di Napoli sono sorvegliate da militari, interdette ai cittadini come zone militari, coperte da segreto militare; il dissenso viene represso e trattato come problema di ordine pubblico. Insieme alle telecamere installate nelle nostre città, la deplorevole situazione di monopolio e censura dei mezzi di comunicazione di massa ci ricorda ogni giorno che siamo cittadine a diritti limitati.
Per militarizzazione non intendiamo solo la presenza di militari, armi, basi; pensiamo anche alla militarizzazione delle menti. “La parola sicurezza viene ripetuta ossessivamente nei giornali, radio, televisioni, nei discorsi ufficiali; gli uomini e ancor più le donne, dovrebbero guardarsi dagli altri, gli immigrati, i musulmani, i rom e sentire solo un incontrollato sentimento di paura, gestibile col tenere lontano il diverso da sé, in particolare con l’uso della forza, meglio se armata. La legittimazione dell’uso della forza è anche per difendere le donne dal barbaro invasore, mentre è in forte aumento la violenza domestica contro le donne e le bambine/i. insieme a un progressivo sgretolamento dei principi fondativi di uno stato che costituzionalmente si definisce laico, vediamo un ruolo sempre più invasivo della chiesa cattolica in ambito scolastico e assistenziale, con una pesante influenza sulle scelte in merito alla bioetica e leggi che tendono a imporre il controllo sul corpo delle donne e a ridurne i diritti acquisiti e l’autodeterminazione.
Si diffonde - attraverso parate militari, interventi dell’esercito nelle scuole, l’uso sempre più diffuso di una retorica e un linguaggio nazionalisti e militaristi - una cultura di guerra che ritiene normale, anzi giusto se non eroico, il ricorso alle armi. Si avvalla così un processo di normalizzazione della guerra. Chi, come noi, vive in Occidente lontano dai luoghi di conflitto armato, non vede le sofferenze altrui, il martirio di intere popolazioni ed ha una consapevolezza pressoché nulla nei confronti delle responsabilità politiche delle potenze occidentali che scatenano le guerre.

Le nostre pratiche

In questa fase del nostro percorso politico ci siamo accorte di non poterci dedicare esclusivamente ai temi e alle pratiche finora percorse ma di doverci occupare del nostro paese insieme alle donne di altre associazioni e collettivi, insomma abbiamo assunto la consapevolezza che il nostro è diventato simile ai “luoghi difficili” ai quali abbiamo rivolto la nostra attenzione in tutti questi anni. Malgrado le difficoltà della situazione economica e politica attuale, malgrado la crisi dei movimenti pacifisti, pur consapevoli di essere minoranza, continuiamo con le nostre pratiche radicando le nostre azioni a partire dalla realtà in cui viviamo; la nostra pratica politica si basa sul partire da sé e sulla rilettura delle nostre esperienze confrontate insieme alle donne del gruppo e della rete, anche attraverso riflessioni suscitate da letture condivise: cerchiamo di sviluppare un libero pensiero che si origina dal desiderio di ogni donna di darsi parola oltre l'insignificanza nella quale è stata obbligata.
Oltre alle uscite periodiche con volantini organizziamo interventi nelle scuole o rivolti alla cittadinanza, per denunciare, fare informazione, educare, in special modo attraverso testimonianze dirette. Cerchiamo di riprendere spazi di parola, che sempre di più si stanno restringendo, e dare voce soprattutto a donne che cercano la pace. Cerchiamo di fare rete e costruire percorsi condivisi con altre organizzazioni o gruppi, in particolare di donne ma anche misti, con cui condividiamo obiettivi parziali o generali: si creano in questo modo relazioni e scambi importanti e duraturi, come il rapporto con le donne di Vicenza che da anni si impegnano contro la costruzione della nuova base militare, o quello con le donne e gli uomini che a Napoli e nei dintorni lottano per impedire la devastazione del proprio territorio (e della propria salute) imposta, manu militari, da una dissennata e illegale gestione dei rifiuti di mezza Italia o il movimento che a Novara sta lottando per contrastare la produzione dei cacciabombardieri F35.
I temi di cui ci occupiamo: protestiamo contro l’aumento delle spese militari, l’industria bellica, le missioni militari camuffate da interventi umanitari e/o missioni di pace, il continuo ricorso a soluzioni militari di fronte a situazioni conflittuali (vedi ora la Libia), la militarizzazione del territorio, le politiche securitarie, i respingimenti dei migranti che cercano di raggiungere il nostro paese e la riduzione del problema dei migranti a un problema di ordine pubblico. Denunciamo anche la violenza contro le donne, e riflettiamo sul linguaggio, denunciando la pericolosità del linguaggio maschilista e sessista. Cerchiamo relazioni di convivenza e accoglienza, partecipazione, solidarietà. Cerchiamo di essere responsabili e di prenderci cura di questo nostro mondo, con la difesa dell’ambiente e dei beni comuni, con il rifiuto del nucleare (civile e militare) e diciamo NO ALLA GUERRA e NO AL LIBERISMO.

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